Omelia per il Battesimo di Gesù - 2014


L’episodio del battesimo di Gesù al Giordano, narrato oggi dall’evangelista Matteo, ma presente in tutti gli altri evangelisti, ci parla del battesimo amministrato da Giovanni Battista come un lavacro di conversione. Gesù vuole ricevere il battesimo di Giovanni che si stupisce di questa richiesta ed anzi si oppone decisamente: illuminato misteriosamente da Dio, Giovanni sa bene chi è Gesù. Alla fine, però, si arrende, perché è questa la volontà di Dio. Gesù, infatti, si identifica con i peccatori e si oppone alle attese degli Ebrei di un “messia trionfante”. Piuttosto, in quel momento, egli è consacrato “servo” e “luce delle nazioni”.

In realtà, avviene al Giordano qualcosa di straordinario e di sublime: Gesù è nel pieno della sua maturità umana ed ha vissuto a Nazaret quasi trent’anni di nascondimento. Era un uomo come tutti gli altri. Presso il Giordano, tuttavia, Gesù visse una esperienza che segnò tutta la sua vita umana. Dopo il battesimo, non rimase con il Battista. Non tornò più al suo lavoro nella città di Nazaret. Spinto da una forza incontenibile, cominciò a percorrere le vie della Galilea annunciando la Buona Notizia di Dio. Com’è naturale, gli evangelisti non possono descrivere ciò che Gesù ha vissuto nell’intimità più profonda della sua anima, ma sono stati capaci di costruire una scena suggestiva e commovente, per suggerirlo. Questa scena è costruita con i tratti di una significato profondo ed anzi profetico: “i cieli si aprono”, non esistono più distanze tra il cielo e la terra; e “si ode una voce venuta dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato e in te ho posto tutto il mio compiacimento”.

È stato detto tutto l’essenziale ed è quanto Gesù ascolta da Dio nel suo intimo:” Tu sei mio. Sei mio figlio. Il tuo essere sta sgorgando da me. Io sono tuo Padre. Ti amo profondamente. Mi riempie di gioia che tu sia mio Figlio. Mi sento felice!”. E da questo momento in poi, Gesù lo invocherà soltanto con questo nome: Abbà, Padre. Quello che avviene, dunque, tra Dio e il suo Figlio Gesù è qualcosa di così grande e misterioso che sconvolgerà la storia umana ed anche la nostra esistenza. La nostra parola umana può solo accennare a questo mistero e farcelo intuire con lo sguardo della fede. In ogni caso, da questa esperienza al Giordano nascono due atteggiamenti che Gesù vive e cerca di trasmettere a tutti noi: una fiducia incredibile in Dio e una docilità incondizionata che lo porterà fino alla morte in croce pur di testimoniare suo Padre e il suo progetto di salvezza su di noi. Per questa ragione, è tutta la totalità dell’esperienza di Gesù che costituisce per noi la certezza della misericordia di Dio sul nostro destino umano.

Gesù confida incondizionatamente in Dio. Si abbandona a lui senza diffidenze né calcoli. Non vive nulla in modo forzato o artificiale. Confida in Dio e si sente figlio amato. Per questo insegna e insegnerà a tutti suoi discepoli, lungo i secoli, a chiamare Dio “Padre”. Lo rattrista la “piccola fede” dei suoi discepoli. Con quella fede, rachitica e insicura, non si può vivere. Lo ripete continuamente: “Non abbiate paura. Abbiate fiducia”. Tutta la sua vita l’ha trascorsa infondendo fiducia in Dio. Ahimé, quanto siamo diversi noi che ci smarriamo nello scetticismo, nel pragmatismo (perché pensiamo di risolvere tutto da noi e senza l’aiuto di Dio), in una fede tiepida che c’è e non c’è allo stesso tempo.

Allo stesso tempo, Gesù vive in un atteggiamento di totale docilità a Dio. Niente e nessuno lo distoglierà da questo cammino. Neppure l’ostilità dei suoi nemici, la possibilità della morte in croce. Da figlio buono, cerca di essere la gioia del Padre suo. Da figlio fedele, vive identificandosi con lui, imitandolo in tutto. Ed è quello che, ieri come oggi, cerca di insegnare a noi: “Imitate Dio. Siate simili al Padre vostro. Siate assolutamente buoni come è buono il Padre vostro del cielo. Copiate la sua bontà. Siate misericordiosi come lui è misericordiosi”. Il Dio di Gesù rivela qui tutta la sua carica di novità, di rivoluzione per quello che gli uomini hanno sempre pensato di Dio.

In fondo, due profondi insegnamenti scaturiscono per noi dal battesimo di Gesù al Giordano. Innanzitutto il nostro battesimo, quel giorno in cui la voce di Dio dal cielo ripete anche a noi: “Tu sei il mio figlio prediletto”. E da qui nasce anche il desiderio di vivere il dono ricevuto: credere che siamo figli di Dio e, dunque, vivere con una fede incondizionata in lui e con una docilità senza ripensamenti. Cioè amare Dio e lasciarsi plasmare dal suo Spirito. In tempi di crisi di fede, come quelli che viviamo, non possiamo perderci in cose secondarie o accidentali. Dobbiamo curare l’essenziale: questa fiducia totale in Dio e l’umile docilità al suo progetto su di noi. Il secondo insegnamento ci parla della vocazione di Gesù, chiamato da Dio ad essere il Salvatore dell’umanità e anche noi, dopo Gesù, siamo chiamati da Dio in un a specifica vocazione (la famiglia, la consacrazione, ma sempre per svolgere una particolare missione!). Non è una vocazione, una chiamata definitiva: il senso della nostra vita va scoperto nel corso dei giorni, mattino dopo mattino. Non dobbiamo avere paura. In ogni chiamata di Dio c’è sempre qualcosa di incerto e cioè ci viene richiesto un atteggiamento di ricerca, disponibilità e apertura a Dio.

Preghiamo perché il Signore Gesù ci doni il suo spirito di totale fiducia in Dio, di disponibilità per vivere la nostra personale vocazione a rendere concreto e visibile il dono di essere chiamati figli di Dio.


Carmelo Mezzasalma CSL

 

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